e
Brand

Leggere le fotografie

Ogni tanto mi chiedono di tenere seminari di fotografia e sono sempre contento di dire di sì …sempre che non mi chiedano di parlare dell’esposizione e di come comporre in base alla regola dei terzi. Non mi fraintendete: mi piace la parte tecnica, ma non è quello l’aspetto della fotografia che mi interessa di più. Perché

per me la fotografia è un modo di parlare di qualcosa; di ciò che penso, di ciò che mi piace e non mi piace del mondo intorno a me. In breve, fotografo ciò che mi interessa e lo faccio nella speranza che anche altra gente lo trovi interessante.

Se ho successo, allora forse la gente vedrà le cose in modo diverso. Potete chiamarla storytelling. Potreste anche chiamarla arte. Ma io la chiamerò semplicemente fotografia.

 

Per rompere il ghiaccio all’avvio di un seminario mi piace somministrare un piccolo test ai miei allievi. Mostro loro una serie di fotografie di alcuni nomi famosi, passati e contemporanei, del mondo della fotografia e per ognuno di loro chiedo di dire qualcosa su come l’immagine li fa pensare o sentire. No voglio che mi dicano che è ‘carina’ o che me ne descrivano gli aspetti tecnici. Voglio che vadano oltre la superficie e che la leggano ad alta voce.

 

Non è facile, ve lo dico, e vi sono dei lunghi momenti di silenzio. Non perché gli allievi siano particolarmente timidi, ma penso perché semplicemente non sono abituati a leggere le immagini in quel modo. Se il silenzio si trascina troppo a lungo, allora propongo alcuni pensieri miei. Non sto dicendo che tali pensieri siano giusti o sbagliati o che riflettano le intenzioni del fotografo. Sono semplicemente la mia reazione personale a ogni immagine. Ciò che davvero mi piace di tutto questo è che gli allievi spesso si illuminano quando realizzano che la fotografia può possedere significato e contenuto che vada oltre l’aspetto tecnico o la bellezza. Tale comprensione può davvero cambiare la loro relazione con la fotografia e dare loro la motivazione per iniziare a fare un lavoro più personale e significativo.

 

Ciò che voglio dimostrare è che la fotografia è un linguaggio visivo e, come un qualsiasi linguaggio, dobbiamo essere in grado di capirlo prima di poterlo parlare.

 

Dobbiamo leggere prima di poter scrivere.

Se volete che le vostre immagini dicano qualcosa, allora prima di tutto dovete aver qualcosa da dire (che non è facile) e poi dovete sapere come dirlo. Ciò che desidero fare qui, quindi, è di presentare alcune immagini e chiedervi di guardarle e pensarci prima di leggere i miei commenti. Nel seminario presento alcuni lavori davvero interessanti creati da grandi fotografi. Non posso farlo qui, così utilizzerò alcune immagini dal mio archivio personale. Alla fine, vi chiederò di provarci con alcune vostre foto.

 

Ok, cominciamo. Ricordate, non esiste giusto o sbagliato, si tratta semplicemente di esercitarsi a rallentare, osservare e pensare.

Immagine 1

Vi farò iniziare con un’immagine facile. Questa fa parte di una serie che ho scattato nei boschi locali dove mi son portato un largo pannello grigio per separare i singoli elementi dallo sfondo. Stiamo osservando un giovane germoglio che cresce ad appena pochi pollici dal terreno. Nel crescere ha forato una foglia rimasta lì dall’autunno precedente. Abbiamo così il ciclo della natura in un delicato equilibrio. Il nuovo che viene dal vecchio, quelle cose lì. Mi piace la semplicità di tutto ciò.

 

Immagine 2

Proviamo qualcosa di più complicato. Questa l’ho scattata quasi trent’anni fa come parte di un reportage su una piccola comunità che vive nel sud dell’Inghilterra. È un’immagine che è rimasta con me in tutti questi anni, quindi deve esserci qualcosa che continua a farmi desiderare di guardarla.

 

Direi che è un ritratto, anche se l’identità del soggetto non è chiara. In effetti identità è la parola che mi viene sempre in mente quando vedo questa immagine. Il modo in cui il profilo del soggetto è incorniciato all’interno della tela dietro di lui traccia delle ovvie somiglianze con la tecnica della ritrattistica di silhouette che era popolare nel 17° e 18° secolo prima dell’invenzione della fotografia. Mi sorprende sempre quanto si possa leggere da un semplice profilo come questo. La ‘tela vuota’ mi fa venire in mente anche la questione filosofica di come ognuno di noi costruisce la propria identità.

 

Ma ci sono altri elementi qui che entrano in gioco. Osservate il dipinto della madre col bambino al centro. Notate la relazione tra quel dipinto e la figura del profilo. Viene creata una certa tensione tra loro.

 

L’elemento finale che lega il tutto insieme è la ragazza che sbircia da oltre la tela sopra la silhouette. È un caso, naturalmente, ma sembra che stia guardando noi, quasi coscientemente. Per me, completa un triangolo che collega i diversi personaggi. Ma è un collegamento che esiste solo in questa fotografia, non nella realtà. E questa è una qualità della fotografia che mi affascina.

 

Immagine 3

Questa proviene da una serie che ho scattato di notte per le strade locali qui in Italia. L’idea mi era venuta qualche settimana prima, mentre stavo guidando nel il parco nazionale di Yosemite in California. Stavo tornando al campo di notte dopo aver fotografato dei paesaggi e, mentre guidavo, ero ben consapevole del fatto di essere ben protetto nella mia comoda auto mentre fuori mi circondavano miglia di buia zona selvaggia. L’unica cosa che potevo vedere era ciò che ai miei fari capitava di illuminare nella tortuosa strada attraverso la foresta. Ero lì, ma non ero lì.

 

Si trattò di una strana sensazione. Mi fece capire quanto la tecnologia ci rimuova dal nostro ambiente immediato. Perfino in aree remote ci sentiamo al sicuro fintanto che restiamo in auto e seguiamo la strada.

 

Al mio ritorno a casa in Italia ho voluto ricreare quella sensazione. Le immagini che ho scattato, come questa, descrivono una certa relazione tra noi stessi e la natura che ci circonda. Osservate l’area di oscurità che si estende oltre le luci stradali. Ha qualcosa di minaccioso, ma mi attrae anche.

 

Immagine 4

Mi è capitato di vedere questo su un muro nella città di Genova. Sarebbe stato facile perderselo. La fotografia ha l’abitudine di dare importanza alle cose per la semplice ragione di identificarle e incorniciarle. In questo caso, l’immagine diventa un’opera d’arte astratta. I fermi sul muro devono aver tenuto qualche insegna in passato. Di per sé sono moto interessanti e ben illuminati.

 

L’impronta della mano grida la parola ‘umano’. Mi ricorda i dipinti preistorici delle caverne e il nostro bisogno continuo di dire ‘io sono stato qui, sono esistito anch’io.’ Il fatto che l’impronta di questa mano vada proprio sopra uno dei fermi aggiunge una qualità tattile all’immagine. Possiamo quasi sentire il fermo sotto la nostra mano. Anche noi esistiamo.

 

 

 

Immagine 5

Qui abbiamo una signora che aspetta l’autobus. Una situazione abbastanza ordinaria, ma ciò che la circonda non è, ovviamente, ordinario.

 

Questa immagine proviene da una

serie
che ho scattato per ricordare il 10° anniversario della guerra a Vukovar, in Croazia. La città venne distrutta in un assedio, durante la guerra tra serbi e croati che seguì alla dissoluzione dell’allora Jugoslavia. Ci trascorsi alcune settimane per vedere come la comunità si stava riprendendo a dieci anni dall’evento.

 

Nel riprendere queste immagini ho voluto offrire un’alternativa al dramma del giornalismo fotografico, per cercare un approccio più lento e più ponderato. Ho lavorato quindi con una pellicola di medio formato e ho fotografato quieti dettagli e gente che stava ferma nei luoghi collegati alle loro vite giornaliere, al loro lavoro e alla loro casa.

 

La signora della foto è vestita di nero. Suppongo che sia una vedova, ma non posso dire altro. Il suo aspetto è composto e dignitoso, nonostante la distruzione e l’abbandono intorno a lei. Mi chiedo cosa deve aver passato nel suo tranquillo angolo della città durante la guerra. E quanto incredibile deve essere, dopo aver affrontato un cambiamento e un subbuglio così grande, potersene semplicemente stare sul bordo della strada ad aspettare un autobus.

 

 

 

Immagine 6

 

Ammetto di avere un’ossessione per le sedie. È iniziata molti anni fa mentre studiavo fotografia all’università. Volevo vedere se era possibile descrivere una comunità senza mostrare le persone reali che vi vivevano. Quindi ho deciso di concentrarmi sulle sedie che si trovavano nei luoghi pubblici. In un certo modo, le sedie diventano persone.

 

Ad essere onesti, la stanza è tanto importante quanto la sedia. I nostri occhi cercano i dettagli per capire dove siamo e cosa può succedere in quel luogo. Tuttavia, ciò che veramente mi affascina di questa serie è che, sebbene le immagini sembrino banali, il loro interesse e la loro importanza aumenteranno con il tempo. Ciò che ci sembra normale oggi diventerà un documento storico in futuro, poiché i dettagli all’interno dell’immagine descrivono i materiali, la tecnologia e perfino le relazioni sociali del tempo. Il modo in cui leggiamo questa immagine cambierà nel tempo. Mi piace l’idea.

 

 

Immagine 7

Ok, ecco l’ultima. Mi piace davvero la fotografia paesaggistica, ma non nei termini di belle viste e cieli drammatici. Mi interessa di più la nostra relazione con l’ambiente e il nostro impatto su di esso. Guardate velocemente questa immagine e riconoscerete la delicata complessità degli alberi in inverno.

 

Guardate più attentamente e vi accorgerete che lo sfondo è di solido cemento. È la struttura portante di un ponte autostradale. Questo aggiunge un diverso livello di significato all’immagine. Diventa terribile, ma resta bella. Per me è un conflitto che trovo interessante, ma difficile da risolvere.

 

 

 

Ora tocca a voi

 

Provate a descrivere alcune delle vostre fotografie nello stesso modo. Ma fate attenzione. Non esagerate e non cercate significati che in realtà non ci sono. Se sarete onesti potrete rendervi conto che non esistono molte immagini che abbiano abbastanza contenuto di cui poter parlare in modo profondo. Ciò è assolutamente normale, non preoccupatevi. Non tutte le foto che facciamo sono importanti. Ma dovremmo essere in grado di riconoscere quelle importanti ed esprimerne il significato a noi stessi e agli altri.

 

Questo è il primo passo verso la creazione di fotografie interessanti piuttosto che fotografie carine. Spero che ciò vi possa ispirare come creatori di immagini in modo da migliorare la fluidità e la fiducia in quel linguaggio che si chiama fotografia.

 

 

Colin DuttonAltri articoli per autore

Born in London, 1966. After taking a Degree in Documentary Photography at the University of Wales, Colin moved to Italy in 2002 where he lives with his wife and children. A professional photographer with clients worldwide, he is specialised in interiors, editorial and advertising on-location. Beyond his commercial work, Colin continues to develop his own personal projects for books and exhibitions and he presents talks and workshops on photography.

Our Brands